Sono passati ormai tre anni da quando la narrazione di un virus nuovo e letale, il SARSCoV- 2, ha creato una crisi senza precedenti nel tessuto economico e sociale e indotto all’accettazione di restrizioni delle libertà personali inaudite, basate sulla paura e la manipolazione mediatica.

Contemporaneamente sono emerse anche le contraddizioni e le incongruenze in ambito scientifico: oltre duecento FOIA (richieste di trasparenza dei cittadini alle istituzioni) ai governi e alle autorità sanitarie in tutto il mondo hanno ottenuto come risposta che il fantomatico virus non è mai stato isolato.

Abbiamo sentito scienziati e ricercatori – in primis Stefano Scoglio con un’estesa disamina nel suo libro Apandemia – avvertirci della fallacia della PCR (il metodo di rilevazione del virus basato sui cosiddetti tamponi molecolari) che, come espresso seppur in sordina anche dall’OMS, non può essere utilizzata per fare diagnosi in quanto inaffidabile e aleatoria.

Ma c’è di più: la PCR (Polymerase Chain Reaction), ideata negli anni ’90 dal premio Nobel per la chimica K. B. Mullis al solo scopo di ausilio alla ricerca, è lo stesso procedimento utilizzato per sequenziare (non isolare) i virus e, trattandosi di una metodologia computerizzata che implica nel suo espletamento fattori di casualità, sviluppa inevitabilmente, replicandola in tempi e laboratori diversi, milioni di astratte presunte varianti.

Si è aperto quindi un nuovo fronte nella comunità scientifica che ha messo in dubbio gli stessi fondamenti della teoria virologica contestando l’esistenza del virus come entità biologica reale e spostando l’attenzione su particelle di origine endogena, come gli esosomi, che svolgono un ruolo di modulazione fisiologica nella risposta infiammatoria e nel conseguente ripristino dell’omeostasi.

Alla luce di ciò l’ipotetica creazione di virus in laboratorio tramite “gain of function” (guadagno di funzione), come alcuni presunti esperti o giornalisti alla ricerca di facili scoop propagandano, oltre ad avere basi scientifiche deboli, diventa poco credibile, non essendoci l’isolato fisico, separato e purificato, sul quale applicare questa supposta tecnologia.

Sono decenni che si parla di BioLab da cui uscirebbero agenti virali terribili, una sorta di “bio-mostri” che infettano e ammazzano tutti, ma per ora si sono visti solo nei film di fantascienza. Anche le promesse di sconvolgenti rivelazioni da parte dei russi sui laboratori ucraini sono rimaste mero flatus vocis.

Quello che certamente possono fare questi laboratori è produrre tossine chimiche e inquinamento. Per questo è giusto richiedere che siano garantiti precisi protocolli di sicurezza, distanza dagli agglomerati urbani e chiarezza sulle procedure.

Intimorire invece con lo “spauracchio pandemico” è funzionale al sistema di potere, una modalità di percezione che viene incoraggiata dall’establishment (vedi le dichiarazioni sul virus ingegnerizzato dello stesso Fauci) e favorita dal mainstream. Ne è recente esempio l’ampia rilevanza data dai media alla truffa scientifica sulla nuova variante killer “generata” nei laboratori dell’Università di Boston. Modi che servono soprattutto per orientare il dissenso e distrarlo dai veri obiettivi di protesta e di lotta.

Luigi Gallo